Quando un qualsiasi atleta (o preparatore/allenatore dello stesso) si trova a programmare il carico allenante stagionale dovranno essere presi considerazione una serie di fattori, in particolare frequenza, durata ed intensità dello stesso. Focalizzando l’attenzione nello sport endurance, possiamo partire attraverso alcune premesse legate alla periodizzazione che solitamente viene strutturata in questi casi.
Di base la progressione partirà dall’overdistance (percorrere ogni volta una distanza maggiore rispetto alla precedente) e l’endurance (resistenza) training passando al focus sul tempo (passo e ritmo di allenamento, dunque intensità), lactate treshold (soglia aerobica, quindi lavori submassimali) e maximal effort (sforzo massimo VO2max) training.
Questi di base saranno i punti di partenza che verranno organizzati / spalmati lungo la stagione dell’atleta in questione. Le modalità potranno poi essere tramite periodizzazione classica 3:1 (3 settimane di carico ed una di scarico), inversa (decremento progressivo + scarico) dell’intensità e del volume.
Tuttavia oggi più che mai si è visto come non basti partire da questi presupposti, bensì sarà opportuno testare a monte e monitorare durante tutto l’arco della stagione i diversi parametri che inquadreranno in maniera soggettiva le caratteristiche dell’atleta e permetteranno di strutturare un programma stagionale che ormai si è visto scindere dai classici schemi e seguire modelli ondulatori personalizzati (carico scarico).
Una volta impostato e strutturato il programma di allenamento, le variabili interne ed esterne che potranno influire sulla "fatica" o meglio l'affaticamento dell'atleta saranno molteplici sia in senso positivo (sovrastima del carico) che negativo (sottostima) [i.e. impostazione 4 sedute ad alta intensità settimanali sulla base dei test relativi alla concentrazione di lattato ma atleta con crampi e decremento della performance già al 3 allenamento...].
A tal proposito ricoprirà un ruolo fondamentale il monitoraggio quanto più frequente possibile dei carichi esterni (monitoraggio potenza espressa, velocità, accelerazione, distanza tramite GPS device, funzioni neuromuscolari (jump-test)) e dei carichi interni (test percezione della fatica, questionari, frequenza cardiaca, analisi biochimico-immunologico-ormonali, test lattato, training impulse (TRIMP), efficienza psicomotoria e sonno).
A riguardo risulta interessante lo studio pubblicato recentemente da Schumann e colleghi, in cui sono stati comparati programmi di allenamento da un lato standard e fissati a monte o “training-load-guided”, ovvero strutturati sui dati derivanti dai device degli atleti e da alcune delle variabili sopradescritte, su 12 settimane di allenamento.
L’obiettivo fu quello di modulare in maniera diversa, quotidianamente, gli allenamenti nel secondo gruppo (TL - training load guided) e comparare i miglioramenti nella resistenza (endurance) rispetto al gruppo che seguiva il programma classico, standard. Non vennero riportate differenze nel volume e frequenza di allenamento, tuttavia il gruppo TL mostrò maggiori miglioramenti dell’endurance, nella VO2max e nei tempi su sprint di 1000m.
Uno studio simile (Manzi e colleghi, 2015), condotto su maratoneti amatoriali ha valutato la distribuzione dell’intensità di allenamento dettata da un lato da programmazioni standardizzate (oggettiva) dall’altro dalle sensazioni e dai dati raccolti dai device dagli atleti stessi (soggettiva).
I ricercatori mostrarono come l’RPE (session-rating-of-perceivedexertion) rispetto ad allenamenti da “tabella” (metodo TRIMPi) su zone di intensità producesse in entrambi i casi “training-loads” simili, suggerendo come l’andamento e la distribuzione delle variabili di allenamento (volume, intensità e frequenza) risultarono alla fine dello studio simili nei due gruppi, confermando quanto detto, ovvero, utilizzare dati istantanei e programmare di settimana in settimana sulla base di dati soggettivi gli allenamenti può essere ormai considerata la strategia vincente per gli atleti endurance.
Anche in questo caso é evidente come la personalizzazione risulti un aspetto fondamentale e come ogni atleta / individuo necessiti di specifiche considerazioni e strategie allenanti per poter evitare overreaching e sindrome da overtraining con successivo calo delle performances.
Questi aspetti/analisi naturalmente possono essere applicate in particolare in contesti endurance. Tuttavia, gli studi che hanno valutato l'impatto delle sedute allenanti nel resistance training o sport di forza/potenza hanno preso in considerazione per l'appunto variazioni nella composizione corporea (i.e. aumento massa magra) o aumenti di forza (i.e. 1RM test) senza ad oggi riportare dati univoci sull'utilizzo di programmazioni ad alta o bassa frequenza allenante, suggerendo ancora una volta come tale parametro vada sviluppato sulle caratteristiche del soggetto come dimostrano Thomas and Burns.
Inoltre in questi casi valutare il carico di lavoro a livello centrale e periferico rappresenta una variabile aggiuntiva e dall'impatto considerevole (Zajac et al., 2015). Ad ogni modo come viene suggerito da Kawamori e Haff impostare un “training load” ottimale e periodizzare l’allenamento sono elementi base per, ad esempio, sviluppare un programma di allenamento volto all’aumento della potenza.
Vos e colleghi mostrano nel loro studio come anche in soggetti “anziani” 69 +/- 6 anni di età, un programma di allenamento ad intensità progressiva (20%, 50%, 80%) rispetto all’1RM in 8-12 settimane di allenamento consentì agli individui presi in considerazione di aumentare il picco muscolare di potenza e forza massimale rispetto ad un gruppo controllo che si allenò senza alcun programma preciso.
Sempre rispetto alla periodizzazione dei carichi di lavoro Hartmann e colleghi suggeriscono come per consentire adattamenti morfologici continui (ipertrofia) e neurologici continui (forza e potenza) di base sia necessario scindere e strutturare nel tempo tali fasi e valutare in maniera opportuna le rispettive progressioni. In questo articolo che aveva l’obiettivo di fornire una panoramica sui diversi metodi e strumenti ad oggi disponibili per monitorare la “fatica” e modulare la programmazione allenante di conseguenza è stato possibile osservare come il materiale scientifico che suggerisce l’utilizzo di una programmazione personalizzata e dinamica sia sempre più corposo.Non basterà allora seguire la tabella pre stampata o semplicemente la teoria del preparatore / ricercatore “x” ma in ogni caso sarà indispensabile un adattamento sul soggetto ed un evoluzione continua delle variabili del programma di allenamento.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/…/p…/40279_2014_Article_253.pdf
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4836564/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4723165/
http://www.humankinetics.com/excerpts/excerpts/how‐periodization‐is‐used‐by‐endurance‐athletes
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4213373/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4789708/pdf/bjsports‐2015‐094758.pdf
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15320680
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26133514
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/labs/articles/27248704/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25803237